+ Rispondi
Visualizzazione dei risultati da 1 a 4 su 4

Discussione: 9/10/63 Una data da non dimenticare - il disastro del Vajont

  1. #1
    L'avatar di Sbrozz

    Con noi dal 04/03/2009
    Residenza: Gambellara
    Provincia: Vicenza
    Età : 41
    Messaggi: 1,132

    Italy
     Sbrozz non è in linea
    1.3 mjet 75cv Sport
    Bianco bianco/gara

    Post 9/10/63 Una data da non dimenticare - il disastro del Vajont

    Oggi è l'anniversario del disastro,riporto quanto scritto da Wikipedia
    Disastro del Vajont
    Il disastro del Vajont fu causato da una frana staccatasi dal versante settentrionale del monte Toc - situato sul confine tra Friuli Venezia Giulia e Veneto - il 9 ottobre 1963. Alle ore 22.39 di quel giorno, circa 270 milioni di m3 di roccia scivolarono, alla velocità di 30 m/s, nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m3 d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che, in parte, risalì il versante opposto distruggendo gli abitati di Erto e Casso, e in parte (circa 30 milioni di m3) scavalcò il manufatto (che rimase intatto) riversandosi a valle e distruggendo il paese di Longarone e altri abitati limitrofi. 1917 le vittime di cui[3] 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni[4]; vennero inoltre danneggiati dall'inondazione gli abitati di Pirago, Faè e Rivalta e le frazioni di Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
    Nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell'Anno internazionale del pianeta Terra (International Year of Planet Earth) dichiarato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 2008, il disastro del Vajont fu citato - assieme ad altri quattro - come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e - nel caso specifico - dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare»
    Il progetto della diga
    L'idea di sfruttare come bacino idroelettrico la valle del fiume Vajont tramite una diga venne concretizzata dalla Società Idroelettrica Veneta poi assorbita dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità), particolarmente attiva alla fine del XIX e nella prima metà del XX secolo nella distribuzione elettrica (prima della nazionalizzazione del settore elettrico attuata attraverso la nascita di un "Ente Nazionale per l'Energia Elettrica", l'ENEL) nel nord-est italiano[7]. All'epoca, la maggior parte dell'energia elettrica prodotta in Italia del Nord, fondamentale per lo sviluppo industriale, era ottenuta utilizzando turbine idroelettriche, perché l'Italia, abbondante di montagne, mancava di materie prime, come il carbone, e quindi questa politica di 'energie rinnovabili' ante litteram era una soluzione pressoché obbligata. Ma non considerava le interazioni uomo-ambiente e le necessità di rispetto dell'ambiente.
    Lo scopo del progetto era quello di creare in mezzo ai monti dolomitici una riserva di acqua (serbatoio di regolazione pluristagionale) che permettesse di sfruttare l'energia gravitazionale (perché le dighe consentono di utilizzare l'acqua come fluido di lavoro), sotto forma di potenza idrica, per portare energia elettrica a Venezia e a tutto il Triveneto, anche nei periodi di secca dei fiumi. L'invaso venne creato per accumulare le acque del fiume Piave dopo il loro passaggio nella diga di centro Cadore, dalla quale giungeva nel serbatoio del Vajont tramite tubazioni con dislivello minimo e quindi minor perdita di energia gravitazionale. A questo sistema si aggiungevano, tramite condotte e ponti-tubo, anche i laghi di Vodo e Valle di Cadore (torrente Boite), di Pontesei (torrente Maè) e della Val Gallina (bacino di carico della centrale di Soverzene). Era stato dunque concepito un grande sistema di vasi comunicanti, con piccoli dislivelli tra di loro, sfruttati da piccole centrali (Pontesei, Colomber e Gardona) e tutti confluenti nella centrale principale di Soverzene (220 MW, al suo tempo la più grande d'Europa).
    La gola del torrente Vajont, che nasce dalle Alpi carniche e si immette nel fiume Piave, costeggiando il Monte Toc, tra la provincia di Belluno e la provincia di Pordenone, istituita successivamente (1968), sembrava essere il luogo più adatto: lungo il corso del torrente, all'altezza dei paesi di Casso e di Erto (PN), il geologo Giorgio Dal Piaz e il progettista Carlo Semenza individuarono il luogo adatto per costruire la diga a doppio arco più alta del mondo.
    Il progetto iniziale prevedeva una diga a doppio arco alta 202 metri con un invaso di 58,2 milioni di metri cubi. In seguito il progetto fu modificato: la diga avrebbe raggiunto l'altezza di 261,60 metri, con un invaso utile di 152 milioni di metri cubi. L'invaso della diga fu a tutti gli effetti maggiore di quanto mai previsto.
    Il progetto ottenne la completa approvazione ministeriale il 17 luglio 1957.
    I lavori della diga
    Il primo sopralluogo sul posto, da parte dell'ingegner Carlo Semenza e del geologo Giorgio Dal Piaz, ebbe luogo nel 1925. [8]I lavori progettuali legati alla costruzione del Grande Vajont iniziarono nel 1940, con i primi sopralluoghi di Dal Piaz sul territorio.
    Dopo la Seconda guerra mondiale il progetto Vajont, fortemente voluto dalla SADE, inizia a prendere forma e viene quindi presentato per l'approvazione del Genio Civile.
    I controlli geologici iniziarono nel 1949 e con essi i primi atti di protesta delle amministrazioni coinvolte dal progetto: la costruzione della diga avrebbe infatti portato gli abitanti dei paesi di Casso e di Erto all'abbandono di abitazioni e di terreni produttivi.
    Nonostante le proteste degli abitanti della valle e i forti dubbi degli organi preposti al controllo del progetto, a metà degli anni cinquanta iniziarono i primi espropri fondiari e la preparazione del cantiere: i lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1956, senza l'effettiva autorizzazione ministeriale.
    Il costo della costruzione della diga fu sostenuto grazie anche ad un contributo del 45% delle spese, erogato all'epoca della progettazione, dall'allora governo fascista presieduto da Mussolini.
    Avanzamento dei lavori
    Nel corso dei lavori si dovette procedere ad aggiustamenti non previsti nel progetto originale: furono rilevate frane della roccia su cui poggiavano le spalle della diga e fu reso necessario l'utilizzo di iniezioni di calcestruzzo per il consolidamento dei versanti.
    A lavori ormai iniziati si produssero alcune scosse sismiche, la Sade fece pertanto effettuare ulteriori rilievi geologici che rilevarono l'esistenza di una grande paleofrana sul monte Toc; la quale avrebbe potuto cadere nel bacino artificiale formato dalla diga. Nonostante questo, La SADE non inviò mai i rapporti di questi rilievi agli organi di controllo.
    Alla fine della riprogettazione, che vide l'innalzamento di circa 60 metri e la capacità di bacino triplicata, la diga del Vajont aveva le seguenti caratteristiche:
    * Tipo: diga ad arco a doppia curvatura in calcestruzzo
    * Inizio effettivo lavori: 1957
    * Costruttore: Gruppo S.A.D.E. - Società Adriatica di Elettricità di Venezia
    * Fine lavori: 1959.
    * Altezza complessiva: 264,6 m
    * Larghezza alla base: 27,0 m
    * Larghezza in sommità: 3,4 m
    * Livello di massimo invaso:722,5 m slm
    * Livello di massima piena: 462,0 m slm
    * Livello massimo: 725,5 m sl.
    * Capacità di invaso complessiva: 168,715 milioni di m3 (150 mln utile)
    * Morti durante la costruzione della diga: 15
    I lavori continuarono: il 2 febbraio 1960 si effettuò il primo invaso a quota 600 metri, successivamente la quota fu portata a 650 metri. Il 4 novembre 1960 si produsse una prima frana: 700 mila metri cubi di terra e roccia franarono nel bacino.
    Dopo la prima frana fu commissionata all'Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell'Università di Padova una simulazione di disastro. Lo studio riprodusse in scala una possibile frana di 40 milioni di metri cubi, la dimensione stimata allora della frana, attraverso l'utilizzo di ghiaia. In base a questa simulazione, in seguito al disastro oggetto di critiche poiché considerata da alcuni troppo approssimativa, si determinò che il limite di invaso a quota 700 metri non avrebbe provocato danni.
    Dal 1961 al 1963 furono praticati numerosi invasi e svasi per limitare il più possibile le possibilità di smottamento del terreno circostante la diga: il 4 settembre 1963 si arrivò a quota 710. Gli abitanti della zona denunciarono movimenti del terreno e scosse telluriche, inoltre venivano chiaramente uditi boati provenienti dalla montagna.
    L'osservazione scientifica
    Posto che la dinamica della catastrofe è risultata concretizzarsi per un concorso di elementi naturali e di grosse responsabilità umane, è necessario fare il punto su quello che le indagini scientifiche rivelarono sulla costituzione morfologica della vallata, per poi integrare queste con lo svolgimento della cronaca recente.
    La geologia del luogo
    La geologia del luogo venne individuata, secondo una ricerca dei primi anni sessanta, nella seguente successione stratigrafica:
    * G1: Livelli di calcari marnosi e selciferi, di colore grigio-scuro, stratificati in maniera intensa e sottile, con inserti di marne calcaree. (Lias)
    * G2 : calcari oolitici, alla base dolomitici, compatti e con stratificazione caotica e vagamente ordinata. (Dogger-Malm)
    * G3 : si riconoscono 3 livelli, (Malm):
    * a) calcari grigi scuri con liste e noduli di selce, sottilmente stratificati con interstrati basali marnoso- calcarei verdastri e con intercalazioni marnoso-argillose;
    * b) calcari grigi, e, gradualmente, da mediamente a sottilmente stratificati;
    * c) calcari e calcari marnosi, simili al livello basale, ma in banchi di spessore superiore al metro.
    Assetto strutturale
    Nell'Oligocene, durante l'orogenesi alpina, (30 milioni di anni fa), le formazioni calcareo marnose e argillose vennero piegate, fratturate e sollevate; queste, verso la base, presentano una superficie inclinata di tensione che poi è stata coinvolta nell'enorme franamento del Monte Toc.
    Dal punto di vista strutturale nella zona si possono riconoscere due pieghe principali entrambe con asse orientato in direzione E-W ovvero: -l'anticlinale Pelf-Frugna, il cui asse corre lungo la Val Gallina e attraversa l'alta valle del Vajont il cui nucleo è costituito da Dolomia Principale; -Sinclinale di Erto, riconoscibile nella conca di Erto, con al nucleo la formazione del flysch. Il fianco meridionale di tale sinclinale asimmetrica, lungo il cui asse si è impostata la valle del Vajont, e costituisce il fianco settentrionale del Monte Toc da cui si sarebbe staccata la frana.
    In termini morfologici, la valle del Vajont è di origine glaciale, che vide dopo l'ultima glaciazione l'azione erosiva glaciale sovraimpressa dalla successiva erosione torrentizia generando il profondo profilo a "V" della valle. Profilo geometricamente favorevole per la ubicazione di una diga di sbarramento.
    Clima
    La diga del torrente Vajont è situata in una area ad elevata piovosità con massimi in primavera ed in autunno e con minimi in inverno. L'azione del gelo-disgelo insiste sul versante meridionale della valle. Inoltre, data l'esposizione della stessa verso Est-Ovest , essa è sottoposta ad una scarsa insolazione.
    Nel 1962-63, il livello delle precipitazioni fu così basso che, per compensare la possibile crisi idrica e continuare con l'attività di produzione elettrica, il livello del lago artificiale fu aumentato nonostante i timori che ne derivavano.
    Fu, indipendentemente dalle cause contingenti, una decisione piuttosto sconcertante, se si considera che proprio per evitare i fenomeni franosi che minacciavano il bacino e i dintorni, si era deciso di abbassare lentamente il livello stesso. Questo aumento in un momento così delicato potrebbe essere stato il precursore della frana, che così, pur essendo di origine “idraulica” con un invaso pieno,potrebbe aver avuto origine a causa di un periodo di siccità.
    Una decisione del genere è in parte spiegabile con la nazionalizzazione delle industrie idroelettriche avviata nello stesso anno del disastro. Lo stato di transitorietà in cui si trovava il neonato Ente per l'Energia Elettrica non ha permesso di avere la stessa rapidità decisionale (nonché probabilmente l'attenzione) che era invece garantita dall'Impresa privata che fino a prima possedeva gli impianti.
    Cenni sugli studi compiuti prima del disastro
    I lavori di costruzione della diga cominciarono nel 1957; da subito il versante sovrastante la diga fu tenuto sotto controllo. Per questo motivo il famoso specialista austriaco in esplorazioni minerarie Leopold Müller fu consultato per valutare i problemi di stabilità della roccia. Tuttavia in questo primo studio le sue indagini non rivelarono la paleofrana che poi sarebbe stata vista come causa determinante, anche se la conclusione fu che la riserva idrica poteva causare frane, anche di un milione di metri cubi.
    Dal Piaz, comunque, ancora l'anno dopo non ritenne che fossero presenti rischi concreti di frane pericolose. Solo nel 1959 il geologo Edoardo Semenza - figlio del capo progettista Carlo Semenza - scoprì in una ricognizione sul campo, la presenza nel versante sinistro, di evidenti pericoli derivanti da una zona di miloniti non cementate, lunga circa 1 chilometro e mezzo [10]. Ciò indusse Edoardo Semenza ad ipotizzare la presenza di una paleofrana. Le prospezioni geofisiche del geologo Prof. Pietro Caloi sembravano invece indicare nello studio successivo (novembre 1959) che la zona a sinistra della vallata fosse "eccezionalmente" solida, rocce compatte coperte da soli 10-20 m di detriti sciolti.
    Nel frattempo, nel 1959 la diga era stata terminata e si era iniziato a riempire l'invaso. Tuttavia come già visto il 4 novembre 1960, con il livello del lago a 650 m.s.l., vi fu una frana di medie dimensioni (800.000 m3) sul versante sinistro; dopo questo evento Müller studiò ancora il territorio e propose varie ipotesi per evitare la frana del versante, benché non credesse ancora alla presenza della paleofrana. Non era contrario alla costruzione della diga, ma temeva la possibilità di una frana incontrollata, tanto da suggerire vari rimedi, il più attuabile dei quali era forse un tunnel drenante che, passando per strati calcarei compatti, raggiungesse da sotto le masse franose e ne convogliasse via l'acqua.
    Tra le altre possibili ipotesi di lavoro, nessuna sembrava realmente fattibile: sbancare la frana o cementarla, tra le più realistiche, erano in realtà, per le grandezze in gioco, giudicate troppo costose e difficili da realizzare.

    Tuttavia, restava il fatto che la questione dovesse essere meglio compresa. Sondaggi e prospezioni continuarono ad essere previsti, sebbene scavare negli strati di detrito presenta notevoli difficoltà tecniche.

    Nel 1960 Caloi riprese gli studi geosismici, e con sorpresa di tutti, rilevò fino a 150 metri di roccia fratturata concludendo in maniera ancora più sorprendente, che questo doveva essere accaduto dopo la sua prima indagine dell'anno precedente.

    Come già visto nel 1961, dietro volere di Carlo Semenza, un modello in scala 1:200 del bacino del Vajont fu approntato e testato presso l'Università di Padova ipotizzando l'eventualità di una frana con superfici di movimento di 30 e 40 gradi e tempi di frana valutati fino al tempo di un minuto (già considerato eccezionalmente veloce con i dati in possesso a quell'epoca). Il totale fu considerato sufficiente per non dover temere né cedimenti della diga né svasi oltre la stessa da parte delle onde anomale generate, non più alte di una trentina di metri, corrispondenti a 40 milioni di m3 nel peggiore dei casi. Ma nella realtà la frana fu di quasi 300 milioni di m3 (circa 8 volte il valore massimo previsto) e si mosse a velocità tripla di quella prevista; tutto ciò produsse un'energia cinetica di quasi 100 volte superiore al massimo previsto, e il livello dell'onda superò i 200 metri sul coronamento della diga.
    Nel frattempo, comunque, furono impiantati dei piezometri - seppur con grande fatica (dovuta alla necessità di raggiungere i vari strati in cui esisteva la falda acquifera), nonché dei marcatori di terreno per visualizzare i movimenti della frana. Nonostante le difficoltà nell'interpretare i dati che essi fornivano, nondimeno furono molto utili nello stabilire come procedere empiricamente per far diminuire il fenomeno franoso.
    La strategia di Müller prevedeva che la frana in nessun caso sfuggisse al controllo, e la tattica suggerita dopo quella del 1960 fu lo svuotamento lento del bacino, con diminuzioni fino al livello di 600 mt, costituite da 4-5 mt in meno e poi una pausa di alcuni giorni per dare il modo e il tempo al materiale di aggiustarsi e restare stabile nonostante il cambiamento di condizione idraulica.
    Così, il movimento della frana quasi si bloccò in breve tempo, e certamente non si sarebbe riattivata violentemente senza il ritorno oltre quota 700 mt, se le esigenze di collaudo non l'avessero "imposto".
    Il disastro
    Alla fine dell'estate del 1963, poiché i sensori rilevarono movimenti preoccupanti della montagna, venne deciso di diminuire gradualmente l'altezza dell'invaso, sia per cercare di evitare il distacco di una frana, sia per evitare che una possibile frana potesse provocare un'onda che scavalcasse la diga. Ma alle 22,39 del 9 ottobre 1963 si staccò dalla costa del Monte Toc (che in friulano, contrazione di "patoc", significa "marcio") una frana lunga 2 km di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra. La frana arrivò a valle, generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale.L'impatto con l'acqua generò tre onde: una si diresse verso l'alto, lambì le abitazioni di Casso e ricadendo sulla frana andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza; un'altra si diresse verso le sponde del lago e attraverso un'azione di dilavamento delle stesse distrusse alcune località in Comune di Erto-Casso e la terza (di circa 50 milioni di metri cubi di acqua), scavalcò il ciglio della diga che rimase intatta, ad eccezione del coronamento percorso dalla strada di circonvallazione che conduceva al versante sinistro del Vajont e precipitò nella stretta valle sottostante. I circa 25 milioni di metri cubi d'acqua che riuscirono a scavalcare l'opera, raggiunsero il greto sassoso della valle del Piave e asportarono consistenti detriti che si riversarono sul settore meridionale di Longarone causando la quasi completa distruzione della cittadina (si salvarono il municipio e le case poste a nord di questo edificio) e di altri nuclei limitrofi e la morte, nel complesso, di circa 2000 persone (i dati ufficiali parlano di 2018 vittime, ma non è possibile determinarne con certezza il numero).
    Alle ore 5,30 della mattina del 10 ottobre 1963 i militari italiani arrivarono sul luogo per portare soccorso e recuperare i morti. Dei circa 2000 morti, sono stati recuperati solo 1500 cadaveri, la metà dei quali non è stato possibile riconoscere.
    Dopo il disastro
    Il Ministero dei Lavori Pubblici avviò immediatamente un'inchiesta per individuare le cause della catastrofe.
    Iniziano le operazioni di messa in sicurezza della valle. L'Enel installa una stazione di pompaggio per mantenere il livello del settore residuo del lago (quello a monte) entro limiti di sicurezza, giacché essendo rimasto senza emissario avrebbe potuto sommergere Erto, e contemporaneamente vengono avviati i lavori di ripristino e prolungamento oltre lo sbarramento della galleria di bypass costruita prima del disastro (e che tuttora assicura il deflusso delle acque oltre la diga). Nonostante le rassicurazioni dei geologi si decide però di trasferire la popolazione di Erto. Pochi dei vecchi abitanti sono rientrati nelle case e le hanno ristrutturate, mentre altri occupano il nuovo quartiere costruito più in alto.
    Vengono fatti tutta una serie di lavori di dubbia utilità come ad esempio l'impermeabilizzazione del passo di Sant'Osvaldo (punta Ovest) con uno schermo di cemento profondo 80 m (rimosso nel 1998) noto come il Muro della Vergogna, o del Pianto.
    Il 20 febbraio 1968 il Giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, deposita la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo muoiono, mentre Pancini si toglie la vita il 28 novembre di quell'anno.
    Il giorno dopo inizia il Processo di Primo Grado, che si tiene a L'Aquila a ben 850 chilometri, e che si conclude il 17 dicembre del 1969. L'accusa chiede 21 anni per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vengono richiesti 9) per disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vengono condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero; assolti tutti gli altri. La prevedibilità della frana non viene riconosciuta.
    Dal 15 al 25 marzo del 1971 a Roma si svolge il processo di Cassazione, dove viene confermato il verdetto del processo di secondo grado, ma vengono ridotte le pene a Biadene e a Sensidoni: il primo è condannato a cinque anni di reclusione, il secondo a dieci mesi, ma in seguito a Biadene verranno condonati tre anni per problemi di salute
    Nel 1971, per permettere agli sfollati ancora senza nuove case di tornare alla normalità, venne costruito il comune di Vajont presso Maniago. [13]
    Nel 1997 la Montedison (che aveva acquisito la SADE) fu condannata a risarcire i comuni colpiti dalla catastrofe. La vicenda si concluse nel 2000 con un accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano al 33,3% ciascuno. [14] [15] [16]La comunità riprese subito a ricostruire non solo il tessuto sociale distrutto, ma anche la città. Un altro centro chiamato Nuova Erto venne costruito a Ponte nelle Alpi (provincia di Belluno), di cui costituisce un quartiere. Infine, sopra il vecchio abitato originale di Erto venne costruito il paese di Erto attuale.
    Si parla di "Corsa al collaudo" come causa del disastro. In realtà questa corsa, secondo alcuni motivata dalla nazionalizzazione delle Industrie Elettriche avvenuta nel 1963 è infondata (ed è stato assodato in sede giudiziaria). Il decreto che istituiva l'ENEL indicava come termini di risarcimento ai proprietari delle Società Elettriche il pagamento del pacchetto azionario il cui valore era fissato come "media degli anni compresi tra il 1959 e il 1962". A dimostrazione di come qualsiasi azione intrapresa al collaudo di nuovi impianti volta ad aumentare il controvalore erogato dallo Stato per la nazionalizzazione non avrebbe mai potuto portare al conseguimento di questo obiettivo.
    Studi successivi
    Dopo la frana, vennero intensivamente studiate le cause e i provvedimenti da adoperare per evitare ulteriori casi simili a questo. Molti i lavori di studio completati. Tra questi, quelli di Müller, Trevisan, e Hendron-Patton, il più recente, del 1985.
    Quest'ultimo studio ha fornito definitivamente la conferma della presenza di 2 distinti livelli acquiferi, quello superiore, che risentiva direttamente del livello del lago, e quello inferiore, dipendente dalle precipitazioni.
    Furono eseguiti nuovi sondaggi e si trovò che il livello detto Fonzaso con argille fosse quello che corrispondeva alla superficie di rottura della frana. Questo strato avrebbe anche causato la separazione dei due acquiferi che risultò così importante: quello nella massa della frana e quello negli strati sottostanti del calcare. Da notare che il livello dell'acquifero superiore era trovato, in base a tre piezometri installati, direttamente collegato a quello del lago.
    L'acquifero inferiore, invece, data la presenza nell'assetto geologico-strutturale di una sinclinale ma anche di uno strato calcareo, è da un lato isolato dal contatto diretto con l'acqua contenuta nel lago e dall'altro è invece risultato collegato alle piogge, inoltre la sua acqua permane in zona a lungo e favorisce fenomeni carsici. La variazione del livello di falda è in antitesi a quello che si riteneva precedentemente, lento e legato ai fenomeni atmosferici (piogge cadute a monte).
    Per questo sembrò plausibile che, effettivamente, la pressione dell'acquifero inferiore fosse capace, quando si verificavano grandi precipitazioni, di causare smottamenti e frane, anche quando non esisteva il lago artificiale.
    Tuttavia, la concomitanza di questi due fattori, lago e piogge, innescò questa frana colossale quando la combinazione tra intense precipitazioni e alto livello del lago si dimostrò sufficiente all'innesco.
    Riassumendo, le cause preparatorie o predisponenti per il disastro del Vajont sono state varie, e anche variamente interpretate, ma alcune sembrano acclarate sufficientemente:
    * la costituzione geologica (come sopra specificato) del versante nord del Monte Toc.
    * il disboscamento.
    * un progressivo decadimento delle caratteristiche meccaniche della base delle rocce interessate al movimento.
    * secondariamente, gli sbancamenti e le incisioni provocate dalla costruzione delle strade e dei canali nell'area in oggetto.
    * la presenza del lago artificiale e in particolare la riduzione della spinta dell'acqua in coincidenza degli svasi.
    * le piogge abbondanti, che non fecero che peggiorare i problemi di stabilità del versante, a parità di livello del lago. Si stima adesso che la frana avrebbe potuto verificarsi persino soltanto con piogge superiori a un certo ammontare (700 millimetri) in un mese, ma qui bisogna sommare anche il lago della diga.
    I precedenti
    Che l'area, nonostante le sue qualità geometriche di ‘bacino idrico’ in termini di volume e posizionamento, fosse tutt'altro che stabile, lo dimostrano dei documenti storici risalenti addirittura a Catullo, che parla di una frana che cadde sul fondovalle, sbarrandolo.
    Sempre in zona, avvennero frane nel 1347, 1737, 1814, 1868. Si staccarono in particolare dal monte Antelao, provocando vittime e danni considerevoli.
    * Nella vicina vallata di San Lucano, avvennero frane nel 1748, 1908 e 1925.
    * Ma per quanto riguarda la vicenda del Vajont, maggiore interesse può essere accreditato alla frana di Pontesei (nella vicina valle di Zoldo), e quella del monte Toc del 4 novembre 1960.
    La prima era correlata alla presenza di un bacino idrico, uno dei tanti del bellunese, per la produzione di elettricità. Le caratteristiche della frana sono state un'anticipazione di quella del Vajont. Alle ore 7 del 22 marzo 1959 una massa di 3 milioni di m3 si staccò dalle falde del monte Castellin e dello Spiz, su di un fronte di 500 metri e precipitò in 2-3 minuti nel lago di Pontesei, ovvero uno dei bacini artificiali. L'evento provocò la formazione di un'onda che sormontò la diga per almeno 7 metri, nonostante il bacino fosse a un livello di 13 metri al di sotto dell'orlo della diga. L'onda investì il sorvegliante della diga il cui corpo non fu più ritrovato.
    L'evento ebbe una lunghezza del fronte di frana di circa 500 metri e la sua dinamica vide il franamento superficiale di un considerevole spessore di detriti morenici.
    La frana del 4 novembre 1960 vide invece 800.000 m3 staccarsi dal monte Toc e cadere nel bacino artificiale provocando un'ondata di 10 metri di altezza. Seppure senza danni, questo evento era un chiaro avvertimento sulla precarietà della stabilità dei versanti, e questo con un livello della superficie del bacino che arrivava solo a quota 650 metri. Al contempo si aprì una immensa fessura perimetrale sulla montagna, disegnando una M, fessura lunga oltre 2500 metri sulle pendici settentrionali del monte Toc tra quota 930 e 1360 metri s.l.m.
    A quel punto venne dato ordine di svaso del bacino, si intensificarono gli studi per comprendere meglio la struttura del luogo, e venne infine praticata una galleria di bypass per tenere in collegamento il bacino anche se fosse stato tagliato a metà da una grande frana, per impedire aumenti arbitrari del livello a monte della stessa.
    La giornalista de l'Unità Tina Merlin scrisse al proposito di questi eventi:
    « Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l'esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli. »
    Già 2 anni prima della tragedia, Tina Merlin anticipò quello che sarebbe potuto succedere nella valle, con un articolo pubblicato sull'Unità il 21 febbraio 1961, in cui la giornalista denunciava la possibilità che la frana cadesse nel lago provocando enormi danni.
    Fonte:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont

    Questo fatto doveva essere di lezione a tutti noi ed ai vari organi competenti,invece si assiste ancora a tragedie come quelle di Messina e in Abruzzo...
    «Non avrei mai creduto che una squadra di provincia potesse giocare al calcio come giocò il Lanerossi Vicenza»(Gianni Brera)

  2. #2
    L'avatar di Saruman

    Con noi dal 29/12/2007
    Residenza: ...bah...
    Provincia: Milano
    Messaggi: 1,166

    Italy
     Saruman non è in linea
    1.3 mjet 75cv+ Sport
    Blu m'ama non m'ama

    Predefinito

    Da vedere e ascoltare il teatro di Marco Paolini....ti lascia senza parole.

    Un anello per domarli tutti,un anello per trovarli,un anello per ghermirli e nell'oscurità incatenarli

  3. #3
    L'avatar di ciuni86

    Con noi dal 27/10/2008
    Residenza: Mezzocorona
    Provincia: Trento
    Età : 37
    Messaggi: 2,002

    Italy
     ciuni86 non è in linea
    1.2 69cv Lounge
    Bianco bianco/gara

    Predefinito

    Sono stata due volte a visitare la diga... i segni ancora oggi sono evidenti... si vede il pezzo di montagna staccatosi... fa rabbrividire!

  4. #4
    L'avatar di Tizi K5

    Con noi dal 28/07/2008
    Residenza: Venzone...conosci???
    Provincia: Udine
    Età : 45
    Messaggi: 1,547

    Italy
     Tizi K5 non è in linea
    1.2 69cv Lounge
    Bianco bianco/gara

    Predefinito

    L'importante è non ricadere negli errori del passato!!!!

    1.2 Lounge Bianco Bianco - Skydome,Sensori di park,Interscope,Cerchi 16''17 razze,Vetri oscurati,ESP+ASR,Modanatura su cofano,Pomello in pelle,Spoiler...Lilli a cuccia qua!!

+ Rispondi

Discussioni simili

  1. filtro a pannello bmc disastro consumi
    Da PICCOLOBOLIDE nel forum Motori e meccanica
    Risposte: 32
    Ultimo messaggio: 19/01/2010, 10:43:24
  2. Disastro!!!!!!!!!
    Da akekki nel forum Problemi
    Risposte: 14
    Ultimo messaggio: 14/10/2009, 10:53:01
  3. Blue&Me che disastro!!!!!!
    Da kietta nel forum Blue&Me e Audio
    Risposte: 3
    Ultimo messaggio: 20/06/2009, 14:30:30
  4. Data di produzione
    Da Mak nel forum Discussioni generali
    Risposte: 5
    Ultimo messaggio: 01/03/2009, 22:32:31
  5. data di consegna
    Da mikiflower nel forum Discussioni generali
    Risposte: 16
    Ultimo messaggio: 06/05/2008, 14:18:04

Permessi di invio

  • Non puoi inserire discussioni
  • Non puoi inserire repliche
  • Non puoi inserire allegati
  • Non puoi modificare i tuoi messaggi